Antonio Bux con "Luce del verbo impazzire" affronta alcune questioni legate all'esistenza e alla conoscenza. Proprio il tratto luministico e quello temporale, che troviamo nel titolo, associati a un verbo multiforme come 'impazzire', restituiscono la fluidità e la complessità nelle quali l'Io viene a dialogare con se stesso e con gli altri. C'è un forte tono chiaroscurale nei versi di Bux, una oscillazione tra l'oggettività o la carnalità dello stare al mondo e la possibilità di trovare in questa stessa condizione qualcosa che vada oltre gli elementi indicati: «La luce ha del futuro il segno / sottinteso nella carne». Il riferimento ad una tensione gnoseologica è necessario, si evince in più luoghi, ma con ogni probabilità trova la sua realizzazione più evidente nell'opposizione tra "vedere" e "non vedere". C'è in ogni testo una sorta di duplicità, di fronte alla quale il poeta reagisce in più modi, ora sottolineando la distanza della sua parola dal mondo, ora testimoniando che quella stessa parola è parte consustanziale di sé. Ne consegue che il silenzio è l'unica vera esistenza. In tale alveo si sviluppa una solida coscienza della vita e della morte, due estremi, o forse due facce della medesima medaglia, con i quali quotidianamente l'uomo si confronta. La consapevolezza di questa sottile linea, sulla quale si sta, coinvolge anche la dimensione figurativa della silloge, come si può evidenziare dalle occorrenze della parola "mare" che condensa il concetto dello "stare sul limite" proprio quando entra in associazione con il "cielo". Bux ci fornisce un percorso sulla friabilità del tempo, una poesia che affonda le radici nel pensiero contemporaneo, ma al contempo nella dimensione frastagliata di ognuno di noi. (Giuseppe Manitta)