Evocato con insistenza dalle più diverse e contrapposte parti politiche, il liberalismo italiano non è mai riuscito a trovare una sua coerente e chiara messa in pratica. Sulle ceneri del Ventennio fascista, l'Italia del dopoguerra si era dotata di istituzioni e di una costituzione di ispirazione democratica e liberale, ma la scena politica era stata occupata da democristiani e comunisti. Il crollo della Prima repubblica ha visto poi l'ascesa di due personaggi di orientamento politico opposto: un leader ex comunista come Massimo D'Alema e un imprenditore come Silvio Berlusconi. Ma, trascorsi vari anni, possiamo dire che quella rivoluzione è rimasta nel cassetto. Forte è dunque l'esigenza di domandarsi se esista e dove si fondi la tradizione del liberalismo italiano. Spunti per una risposta si trovano in queste acute pagine di Massimo L. Salvadori, dedicate ad alcune tra le più eminenti figure di politici e intellettuali liberali del nostro paese. Nella loro opera si rispecchiano vicende e caratteristiche di un liberalismo fatto di istituzioni liberali dapprima segnate dall'impossibilità di giungere a maturità, poi soppresse dal fascismo e infine rinate in veste democratica. Un liberalismo mai compiuto, a causa del perpetuarsi di sistemi politici "bloccati", che ne hanno sacrificato l'anima stessa: un confronto dialettico tra forze di governo e forze di opposizione capace di dar vita a "normali" alternative di governo.