È l'estate del 1347 e sulla scena italiana, ma non solo italiana, è comparso il tribuno Cola di Rienzo con il suo tentativo, pur effimero e illusorio, di far rinascere a Roma la res publica romana. La storiografia ha ora celebrato e ora ridimensionato questo tentativo ma la questione, trattandosi qui di Petrarca, va letta e interpretata proprio dal punto di vista di Petrarca che, alla fine, non era affatto né un visionario né un mitomane. Ebbene: per il nostro poeta l'impresa del tribuno fu una vicenda estremamente seria, per la quale valeva la pena di battersi anche a costo (come in effetti avvenne) di rotture dolorosissime: quella con la famiglia Colonna innanzitutto, e col cardinale Giovanni in particolare, ossia con chi aveva costituito la base stessa del suo personale successo come poeta e come intellettuale dell'umanesimo. Non c'è biografia di Petrarca che non dedichi una particolare attenzione a questa drammatica vicenda che comportò peraltro la pressoché definitiva rottura del poeta anche con la Curia pontificia di Avignone tanto che alla fine di quel 1347, pur ormai esauritosi il moto "rivoluzionario", noi vediamo Petrarca ormai tornato in terra italiana per rimanervi dalla primavera-estate del 1353 fino alla morte. E ciò, nonostante il continuo rimpianto e quasi costante richiamo di Valchiusa.