Qualcuno srotola davanti a un interlocutore la trama della propria vita: è Nanán, che di professione racconta sogni ai clienti del Cassiopea, un bar equivoco nel porto di Copenhagen. Comincia così, questo romanzo surreale, popolato di marinai, sirene che lavorano in locali poco raccomandabili, tatuatori che parlano lingue sconosciute, spie con la passione dei rubini che collezionano quadri di pittori fiamminghi, di pianisti morti improvvisamente, di bizzarri inventori... Un racconto fantastico sul tema del doppio, forse. Sempre che non si tratti delle allucinazioni dovute all'alcool e alla notte... O forse una storia di spie alla ricerca di invenzioni tecnologiche, oggi d'uso quotidiano, ma inconcepibili all'epoca in cui si svolge l'azione e quindi avvolte in un'aura magica. O forse, soprattutto, una disperata storia d'amore - di amori -, un resoconto delle variegate forme dell'esilio, una riflessione appena abbozzata sull'impossibilità, per ogni (auto)biografia, di esaurire il nostro passato. Eppure, tra tutte queste vicende, c'è forse un'unica domanda che abbia senso: a chi è che Nanán sta raccontando questa storia (o questo sogno)?