Le storie zen pongono domande, e lo fanno sotto la forma del dialogo, usato come espressione di un linguaggio vivo, opposto alla rigidità della lingua scritta. Sono suggerimenti della via, come un dito che indica la luna, ma non sono la via. La definizione dello zen attribuita a Bodhidharma è tuttora la più celebre: "una trasmissione speciale al di fuori delle scritture, che non si basa su parole o lettere, ma punta direttamente al cuore dell'uomo, che vede nella propria natura e raggiunge lo stato di Buddha". Scopo dello zen è l'illuminazione (satori), esperienza immediata della natura di tutte le cose, anzitutto quelle della vita quotidiana. Quando non esiste più separazione fra chi conosce e ciò che è conosciuto la conseguenza è l'illuminazione. Chi raggiunge il satori, dicono i testimoni, sente il prodigio della vita schiudersi in ogni atto, avverte le opposizioni conciliarsi in un tutto organico e coerente, come se il guscio individuale che racchiude la personalità esplodesse liberandola dalla stretta che laimpedisce, disciogliendola in qualcosa di indescrivibile. Le strade dell'illuminazione non prevedono l'adorazione, il timore, la fede o l'amore di Dio. Trascendono anche le categorie del pensiero, nella convinzione che le parole non possano esprimere la verità ultima. Il risveglio non è una conclusione attraverso la riflessione, è stato definito il difficile processo di far tornare i pensieri alla loro origine prima, saggezza basata su un'esperienza religiosa.