Agli occhi del mondo, soprattutto quello "occidentale", Václav Havel è emerso dalla fitta nebbia di un regime quarantennale in un piccolo Paese come la figura-faro che lo ha condotto con determinazione prima fuori dal comunismo e poi dentro l'Europa nella sua nuova, democratica e unita conformazione. Havel è il pilastro politico di tutti i radicali cambiamenti che hanno costellato una faticosa transizione iniziata negli anni Settanta: è dissidente perseguitato, portavoce illustre del movimento politico-sociale Charta 77, protagonista della Rivoluzione di velluto nel novembre 1989, ultimo Presidente di una Cecoslovacchia nuovamente democratica (1989-1992) e primo della Repubblica ceca nel 1993, dopo la pacifica separazione dalla Slovacchia, nonchè indefesso sostenitore dell'ingresso della Cechia nell'Unione europea, avvenuto nel 2004, poco dopo la conclusione del suo mandato decennale. Eppure ancora nel 1989, pochi mesi prima della definitiva disgregazione del regime comunista e dell'inizio di una vera e propria carriera, Havel rifiutava l'appellativo di "politico" e ribadiva il proprio ruolo di cittadino e di "scrittore curioso".