Capace di una prolungata e silenziosa resilienza occultata negli spazi extragiudiziali che talvolta anche le democrazie hanno lasciato aperti - nella prassi repressiva più che in quella investigativa - la tortura torna dopo l'11 settembre a proporsi come strumento accettato e fruibile anche per gli Stati di diritto. Non più prerogativa esclusiva, dichiarata e qualificante delle pratiche del terrore di poteri autocratici, essa dovrebbe risolvere in chiave utilitaristica, garantendo un bene collettivo a fronte di una circoscritta deroga ai principi, il gap di sicurezza di società "dei diritti" investite dalla minaccia di un nemico crudele, nichilista e inafferrabile. Il volume affronta questa drammatica e problematica riemergenza delle giustificazioni della tortura nell'età dei diritti a partire da un serrato dialogo tra discipline, dalla storia del pensiero politico e delle istituzioni alla riflessione giuridica, filosofica e politologica. Il percorso del lavoro mira a smantellare gli scenari che sottendono a questa riproposizione, delineandone il carattere eminentemente ideologico e mettendo allora a fuoco la fenomenologia della tortura e le sue caratteristiche prime.