Di fronte al carattere di sciarada del testo letterario il lettore più o meno consapevole e scaltrito finisce per ritrovarsi nei panni dell'enigmista. Anche se non dà prova del talento di Poe che, recensendo dopo alcune puntate un romanzo di Dickens non ancora finito, riuscì a scorgervi un disegno d'autore poi modificato in corso d'opera, è pur sempre obbligato a districarsi fra tracce vere e depistaggi, allusioni e coups de théâtre, squilibri e ripensamenti, velature e rivelazioni. Quando non ne viene a capo «il libro si chiude», le «strane potenze di vita» fatte di parole che lo abitano scivolano nel silenzio. Ma sia la loro lontananza di sfingi, sia l'ingannevole luce di familiarità sotto cui talora esse ci appaiono - rassicuranti «vicini di casa» dalle sembianze note -, vengono sfatate dall'esercizio che più proficuamente ci instrada verso la piena comprensione: dare rilevanza ai segnali minimi che si nascondono in superficie, a quelle imperfezioni, cicatrici e incongruenze che sono tutt'altro che insignificanti residui, e senza le quali la macchina testuale non potrebbe funzionare. Per lavorare con piccoli indizi occorrono la meticolosità sapiente del decifratore e il gusto della microscopia, oltre all'infallibile orecchio che spinge l'analista, «messe da parte le dichiarazioni ufficiali del paziente», a badare soprattutto «ai lapsus, alle dimenticanze, al tono della voce». Con maestria Lavagetto muove i protocolli della ricostruzione indiziaria dai «frammenti di una teoria» a Balzac a Collodi a Stendhal, dal melodramma a Freud a Proust a Svevo. Segue itinerari perlopiù ignorati dalla critica, come le orme dello Sconosciuto, il personaggio senza nome che irrompe nella grande narrativa ottocentesca, o le affabulazioni di Pinocchio, che racconta la propria storia in modi e forme mirabilmente variati a seconda delle necessità performative del momento, o le intermittenze di un Re Lear mai realizzato che si aggira da fantasma nei progetti di Verdi.