La ricostituzione del corpus autentico delle sue opere, gli studi approfonditi sulla sua biblioteca, rendono oggi possibile la ricerca sul complesso rapporto intellettuale che Uriel da Costa (1583-1640) ha intrattenuto con due classici della diaspora sefardita, alla quale egli apparteneva per biografia, per lingua e per cultura: la "Biblia de Ferrara" (1553) e la "Consolaçam" di Samuel Usque (1553, 1599). La prima parte del libro ricostruisce la profonda lettura dacostiana della "Consolaçam" di Usque, che Da Costa conosceva nella riedizione del 1599. La seconda analizza le varianti ladine del portoghese dacostiano, che presuppongono la "Biblia de Ferrara" come imprescindibile punto di partenza. Poiché il mito della "rarità" circonda ancor oggi due testi del desterro de Portugal come la "Biblia de Ferrara" e la "Consolaçam" di Usque, interrogando un migliaio di cataloghi di aste librarie e innumerevoli testimoni oculari, rintracciando e registrando gli esemplari oggi esistenti nel mondo, la terza parte del libro dimostra che quella rarità non è mai esistita e che i due testi potevano far parte della biblioteca di Da Costa, anche prima del suo esodo dal Portogallo.