Ipertrofia delle fattispecie, indeterminatezza, tecniche di incriminazione emergenziali ed eccessivamente anticipate rispetto ai parametri costituzionali caratterizzavano il diritto penale dell'ambiente già nei provvedimenti legislativi che ne hanno segnato l'emersione nell'ordinamento giuridico italiano, e connotano anche le disposizioni penali contenute nel più recente, cosiddetto, codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152/2006 e successive modifiche). La legislazione speciale in materia, peraltro, è ancora vigente ed integra la codificazione dei «delitti contro l'ambiente» di cui al titolo VI bis del secondo libro del codice penale, introdotto con la l. n. 68/2015; quest'ultima pure presenta limiti analoghi e, per questo, rischia di risolversi, in ultima analisi, in un'aspettativa delusa. Anche le fattispecie codicistiche introdotte con la l. n. 68/2015, infatti, presentano problemi di indeterminatezza, accessorietà al diritto amministrativo, nonché gigantismi definitori. Un'analisi critica della disciplina vigente, sia speciale sia codicistica, orientata ai fondamentali parametri normativo-costituzionali, tra cui gli artt. 2, 3, 9 co. 2, 13, 19, 21 co. 1, 24 co. 2, 25 co. 2, 27 co. 1 e 3, 32 co. 1, 54, 112 Cost., utili anche a definire una legittima oggettività giuridica del diritto penale dell'ambiente, evidenzia i limiti di un adeguamento esegetico e la necessità di una razionalizzazione della materia improntata, su tutto, a garanzia ed effettività.