Una felice sorpresa, una poesia che ci arriva con l'energia netta, insolita e a volte anche sinistra di un giovane autore alla sua prima opera ma già presente con una personalità ben definita, dai contorni marcati e dalla sostanza aspra e grumosa. Matthias Ferrino, classe '88, traccia i dettagli di una condizione esistenziale che è quella di una vita ridotta a uno stato residuale, a un vuoto peraltro carico di fisica concretezza, di oggetti a grappoli, in quella che chiama «indigenza» della materia, e di cui ci narra l'evidenza in un rapporto diretto col reale che produce decisivi attriti. Ferrino apre anche all'idea di un andare, di un movimento possibile verso un dove ignoto o irrilevante e illusorio. Un viaggio dove appaiono ombre, figure anonime, spettrali o già dissolte, che «cercano la vita di sempre, / non la trovano, ostinati cercano ancora / l'attimo di luce accecante, l'eterna / presenza dell'istante.» Figure che ci somigliano, essendo «Noi il vapore fragile dello spavento. / Noi lo stupore di ciò che ci manca.» Da queste citazioni risaltano un pensiero forte e una incisività verbale non comuni e una singolare forma di potente meditazione lirica.