Alla fine di un lungo processo, che ha attraversato l'urbanizzazione e l'industrialismo, e ha completamente consumato le economie, le culture, i valori del vecchio mondo contadino, il pendolo torna a oscillare verso quelle porzioni di territorio - materiale e immaginato - caratterizzate da una più blanda densità abitativa, da una maggiore dovizia degli spazi, da una prevalenza della terra rispetto al cemento. Non si tratta, com'è ovvio, di un puro ripristino delle vecchie egemonie della produzione agricola, che tuttavia sta ritrovando una nuova vitalità; né solo di una ridislocazione demografica. È l'insieme dei modi della produzione e del consumo, dei modelli e degli stili di vita, dei valori e delle culture - dal turismo alla gastronomia, dalle formule abitative alle abitudini alimentari, dall'abbigliamento al tempo libero, dalla cura del corpo a quella dello spirito - a riprendere la strada della campagna, in questo inizio di nuovo millennio. E il fenomeno, pur con le ovvie differenze, riguarda l'interezza del nostro territorio, tutti gli ambiti regionali, tutti i sistemi locali, dalle Alpi al Lilibeo. Si tratta di una campagna ben diversa da quella da cui era partito l'esodo contadino; uno spazio rurale percorso per intero dalle contraddizioni di un tempo come il nostro; un universo di relazioni a maglie più larghe, ma anche più solide, più capaci di resistenze e adattamenti. La campagna torna a essere una polarità indiscussa del gioco territoriale. Torna al centro. Torna a essere "mondo".