"È impossibile ritrovare i luoghi dell'affascinante leggenda della Pietra cantante, così come la raccontò Bergsoe. Ciò malgrado quell'opera letteraria meriterebbe ugualmente d'essere tradotta in italiano, se non altro per ricordare il lungo dominio arabo su Ischia". (Norman Douglas, Summer Island, 1931). È l'orrido e incantato paesaggio dell'isola d'Ischia - così come dovette apparire all'autore, nella seconda metà dell'Ottocento - a far da cornice a questo racconto che ha tutta la leggerezza di una novella orientale e, insieme, lo spessore delle fantasie stratificatesi tra i nativi, in secoli di quotidiano terrore per le scorrerie dei Saraceni. Seguiamo, dunque, il narratore per i sentieri del monte Tabor e lungo le pendici dell'Epomeo, ascoltiamo la voce della Pietra cantante e gli strani rumori provenienti dalla valle del Tamburo e lasciamoci sedurre dalla improbabile storia della principessa Maïla e dei due re che si erano divisi il possesso dell'isola, perché "i forestieri sanno tanto e conoscono poco, eppure pensano di saperne tanto da poter sorridere di coloro che ne sanno di più".