Nel De rerum natura, pubblicato postumo da Cicerone intorno al 53 a.C., Lucrezio consegna alla posterità una fedele esposizione del materialismo epicureo, fonte essenziale per la riscoperta di questa dottrina a partire dal Quattrocento. Spaziando dall'infinitesimo all'infinito, il poeta ripercorre nei termini della fisica atomistica la genesi dell'universo e la storia dell'umanità. Ma soprattutto canta il coraggio intellettuale di Epicuro e la sua filosofia liberatrice, capace di emancipare l'uomo da desideri vani, false superstizioni, paure infondate, prime fra tutte l'angoscia della morte e il timore degli dei. Il poema si apre con una invocazione a Venere, simbolo della voluptas, l'energia genitrice che pervade la natura, e si chiude con la descrizione della peste di Atene: vita e morte sono i due poli dialettici non solo della realtà, ma anche della poetica di Lucrezio che sottopone la materia filosofica a una forte tensione emotiva e immaginativa. Filtrato da una dolente coscienza della condizione umana, il razionalismo epicureo assume in Lucrezio accenti drammatici, specchio dei suoi tormenti di genio solitario della letteratura latina.