Se un'intelligenza extraterrestre si avvicinasse alla Terra, vedrebbe di lontano quel puntino celeste che è il nostro pianeta. Ma il suo sguardo si soffermerebbe anche su minuscoli segnali luminosi, una sorta di presenza spirituale coerente: la traccia lasciata dai grandi pensatori di ogni epoca. Si aprono così, con quest'immagine visionaria, le cinque conversazioni che compongono "La gentilezza della ragione". Alexander Kluge e Ferdinand von Schirach, intellettuali, scrittori ma anche giuristi, si incontrano, dialogano, si completano, si contrappongono, come in quell'agorà dove Socrate cercava discepoli ma anche contraddittori. Proprio come nella piazza ateniese, in queste pagine Kluge e von Schirach discorrono di grandi temi morali partendo dallo spunto di quelli che possono riduttivamente definirsi casi giudiziari, con l'acume analitico degli uomini di diritto, ma anche con lo «sguardo nel cuore umano», come lo chiamava Schiller, dei letterati. A cominciare dal caso di Socrate, della sua rinuncia all'autodifesa e della conseguente condanna a morte. A seguire con Voltaire e la sua pubblica battaglia per riabilitare, in maniera postuma, l'innocenza di Jean Calas, un uomo giustiziato in modo atroce. E con Heinrich von Kleist e il suo racconto del Trovatello per indagare la malvagità e, in ultima istanza, la solitudine estrema dell'essere umano. Tre figure fondamentali per il pensiero occidentale, accomunate, secondo gli autori, da una razionalità "gentile", che mai rinuncia al mito e alla trascendenza. Come una Wunderkammer rinascimentale, questo libro è una stanza delle meraviglie che trabocca di suggestioni antiche e nuove per ragionare di questioni fondamentali come il diritto e la società, i pericoli della democrazia diretta e dei social media, la realtà e la sua rappresentazione, la verità autonoma della letteratura. Per definire cosa in fin dei conti ci rende realmente umani.