Nata dallo studio del linguaggio, dei processi segnici e dei sistemi di relazioni, la semiotica ha immediatamente mostrato, e nel tempo consolidato, la sua vocazione intrinseca di metodologia per lo studio della cultura. "La frontiera interna" indaga il modo in cui si costituisce il confine di una cultura ed in cui si strutturano i meccanismi semiotici attraverso cui essa definisce le proprie forme di alterità. Dopo una riflessione iniziale sull'organizzazione semiotica della Roma dei Papi, la riflessione si sviluppa come una comparazione diacronica fra due sistemi semiotici di definizione e interazione con l'alterità: quello in vigore durante il regime fascista e quello che progressivamente si delinea nel recente periodo delle migrazioni internazionali, letto dal punto di vista particolare della relazione con le collettività Rom e Sinti. In questo modo, le strategie discorsive, le procedure di osservazione del corpo e le retoriche dello spazio che definiscono, sin dai primi anni del regime fascista, un nuovo modello di identità culturale e contemporaneamente un "sistema dei reietti" adeguato alla nuova immagine della società che si sta affermando, sono messe a confronto con le modalità semiotiche di definizione dell'alterità contemporanea. Questo permette, attraverso l'analisi delle discontinuità significative fra passato e presente, di considerare come operi e attraverso quali linguaggi si articoli, in modo inedito, il confine semiotico contemporaneo ma anche quali siano le tattiche semiotiche che tentano di incrinarne i meccanismi discorsivi e disorientarne i dispositivi di osservazione.