Siamo alla fine degli Stati nazionali chiusi in un confine territoriale. All'economia dell'accumulazione capitalistica si è sostituita quella dell'inclusione del capitale umano. La libertà come la cittadinanza è ridotta a reddito d'inclusione. Il povero è "pericoloso", "disperato", fuori dal cerchio sociale. Il povero è sempre solo. Deve essere incluso o recluso o escluso. Non ci sono più le classi sociali rappresentate dai partiti. Quando ci si libera di un passato prossimo si rischia di ritornare al passato remoto in cerca di un'identità smarrita. Il bisogno di sentirsi popolo di nazione conduce al populismo dell'inclusione. Fuori è l'escluso, il clandestino, fuori è il pericolo, l'estraneo, l'inconcludente, non certificato, non masterizzato, non formattato. L'inclusione comporta l'esclusione e la reclusione. Come si può includere chi è recluso dentro l'inclusione? E come includere chi è escluso, sull'orlo della povertà, del niente? La società è lasciata al volontariato del "terzo settore", come il "terzo stato" che diede inizio ai diritti universali del mondo della vita. Nessuno è libero da solo, la libertà è fatta di legami. Il grado di libertà per ognuno si misura dalla qualità dei propri legami personali. Ci sono quelli che soffocano e imprigionano, ci sono quelli che invece lasciano liberi di respirare la gioia. Anche la libertà di un Paese si misura dalla qualità dei suoi legami sociali. La libertà è "declusiva", chi è libero è "declusore", ha le chiavi di ogni incontro, apre, allarga il cerchio del proprio cammino senza perdere il centro del raggio della vita in un dialogo corale.