Il libro, articolato in due sezioni, si pone come il primo tentativo di ricostruire la figura di Salvatore de Benedetti (Novara 1818-Pisa 1891) e la sua varia attività come critico letterario, poligrafo, insegnante, direttore di giornali e collaboratore di riviste prima della definitiva nomina come docente di ebraico presso la Sapienza pisana (1862). Nato in una piccola città del Piemonte della Restaurazione, formatosi presso il Collegio Foa di Vercelli e rifiutata a diciassette anni una promettente carriera rabbinica per desiderio di libertà e passione per lo studio e la letteratura, De Benedetti si spostò in una affannosa ricerca di una sistemazione a Milano, a Venezia, a Livorno, a Torino prima di approdare definitivamente all'insegnamento di letteratura ebraica presso l'Università di Pisa (1862-1891). Il libro ripercorre le tappe di questo insolito percorso personale ed intellettuale che offrì a De Benedetti l'opportunità di avvicinare e di entrare in relazione con le figure più significative della cultura letteraria italiana e con i maggiori esponenti dell'ebraismo ottocentesco italiano e straniero. Fra gli ebraisti dell'età dell'Emancipazione De Benedetti si distingue per una estesa cultura letteraria italiana ed ebraica, per un costante equilibrio fra i valori della tradizione religiosa e i valori universali della società contemporanea. La sua traduzione dell'antico Divan di Yehuda Ha-Levi, il Canzoniere Sacro di Giuda Levita (Pisa, Nistri, 1871) si pone come il vertice della sua varia attività e resta lavoro originalissimo anche nella produzione "orientalistica" della Toscana di fine Ottocento. Il ritratto è arricchito dalla numerosa corrispondenza inedita con ebraisti stranieri, con allievi e con colleghi intorno alla Sapienza pisana e al fiorentino "Istituto di Perfezionamento". Particolare rilievo viene dato allo scambio epistolare con Alessandro D'Ancona e con Isacco Artom, due figure assai vicine a De Benedetti in tutti i momenti della vita e della carriera universitaria.