Il libro nasce ai suoi esordi come elogio della scrittura. La narrazione di queste pagine, di conseguenza, è la storia romanzata della scrittura che racconta se stessa, il resto è solamente un terreno di coltura. Ogni cosa si svolge attraverso "non luoghi" e "non personaggi", per lasciare che la scrittura manipoli storie, volti, nomi, concetti e fatti come essa ama fare non appena entra in scena. Le variazioni cromatiche di queste pagine non hanno nessun legame con la realtà, sono altari-ombra innalzati alla scrittura medesima, il regno della falsificazione è pertanto il regno di queste righe: la vera storia è quella non scritta. Niente è come sembra, ciò che attira l'attenzione, ciò che scandalizza, è frutto degli artifici della menzogna, la quale, prima si pone come verità e, mentendo a se stessa, si legittima come menzogna. "L'ossessione dell'orologio" è in prima istanza l'ossessione per il tempo che scorre, la paura per ciò che è inarrestabile, ineluttabile; ma è anche lo smarrimento di fronte a ciò che permane come eterno, immutabile, incomprensibile. Tutto quello che accade dentro i confini del tempo, matematico o intimo che sia, è per sua natura ossessivo.