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“INCONTRATEVI SOLO CON CHI VI È NECESSARIO. EVITATE LE STRETTE DI MANO, NON RIDETE
O CHIACCHIERATE A DISTANZA RAVVICINATA. SE PROPRIO DOVETE BACIARVI,
FATELO ATTRAVERSO UN FAZZOLETTO. SPRUZZATE ZOLFO SULLE CALZATURE.
NEL DUBBIO, RESTATE A CASA.”
L’epidemia di influenza che travolge nel 1918 Dublino, già prostrata dalla povertà e dalla guerra, risuona di parole che ormai ci sono familiari.
Si gira con la mascherina, ci si guarda con diffidenza, si viene ricoverati con urgenza, febbre altissima e poche speranze.
L’infermiera Julia si trova improvvisamente responsabile del suo reparto in ospedale, quello delle donne malate in maternità, a causa di penuria di personale. L’influenza ha fatto vittime anche tra medici e infermieri e a Julia viene affidata come unico supporto una volontaria, poco più di una bambina. Bridie è orfana, a servizio dalle suore, così malnutrita da essere quasi invisibile, così sventurata da non conoscere nemmeno la sua età.
E per Julia, che a casa ha un fratello reso muto dal trauma della guerra, quella sofferenza è sorella: le sue giornate tra le brande e i colpi di tosse delle malate sono una concitazione claustrofobica, una lotta impari, ma piena di umanità e di partecipazione.
Non c’è solo la febbre da curare, le donne ricoverate sono per lo più cresciute nella miseria, corpi abituati solo al lavoro, qualche volta anche alle botte dei mariti. Sono donne che non hanno mai conosciuto il lusso del curarsi, piene di cicatrici e invalidità di vite trascorse in case malsane, fatte di pura sopravvivenza.
“Sempre indaffarate, queste madri dublinesi, sempre a dannarsi per mettere insieme il pranzo con la cena e riempire i piatti dei maschi di casa, mentre loro si sostentavano con il poco che avanzava e con litri di risciacquatura di tè.”
Accanto alle mogli sopraffatte dai lavori e dalla fatica, le più giovani sono madri per caso, marchiate come infami dalla rudezza dei fanatismi religiosi, con bimbi destinati all’orfanatrofio, o alle fogne. Sono ragazze senza futuro, sguattere delle suore, mortificate per espiare le colpe. È un quadro sciagurato di grande ingiustizia e pregiudizio, quello che Emma Donoghue traccia con emozione, condividendo una storia di vite calpestate.
Brande e impacchi caldi, acido fenico per disinfettare e whiskey per alleviare il dolore: è una battaglia con armi inadeguate quella di Julia e Bridie contro la spagnola. Si può fare poco, ma quel poco viene fatto con amore: Julia fa nascere bambini e chiude occhi, assistendo con la stessa passione la vita e la morte, affiancate, che si alternano e si sovrappongono con una familiarità insostenibile. E a poco serve l’ingresso in reparto della coraggiosa e ribelle dottoressa Lynn, che sfida le autorità per continuare a esercitare, lei combattente indipendentista da una parte e medico competente e attento dall’altra.
«È l’origine del termine “influenza”» spiegò. «Influenza delle stelle, l’influsso degli astri. Nel Medioevo gli italiani ritenevano che questa malattia fosse la prova che erano i cieli a governare il destino dell’uomo, che ci fossero persone nate letteralmente sotto una cattiva stella.»
L’influenza delle stelle è solo in apparenza la storia di una pandemia: negli spazi angusti della stanza Maternità/Febbre dell’ospedale di Dublino, si racconta una società, le difficoltà di crescere donna, di fare scelte indipendenti e per il comune senso anche bizzarre. Ci si ama, scoprendo la propria vulnerabilità, perché siamo corpi fragili in balia di virus ma anche cuori capaci di gesti di compassione e solidarietà incredibili. Oggi come allora.
A sancire questo spirito, e per omaggiare l’impegno di chi lotta ogni giorno, SEM Società Editrice Milanese e Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus hanno annunciato una collaborazione preziosa: per ogni copia venduta, sarà devoluto 1 euro per PROGETTO MATERNITÀ COVID-19 della Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus.
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