Nel solco della "rottura di faglia" che si e spalancata ai nostri occhi da almeno un ventennio, un possibile modo per comprendere l'attualità di senso dell'educazione è costituito dal tentativo di misurarne le perdite. Non nel senso del rimpianto, ma nel segno della possibilità. Come se qualcosa, nell'entropia trasformativa delle nostre vicende storico-culturali, facendone svanire silenziosamente l'inquietudine interrogante e la pluralità semantica, possa paradossalmente consentire il riemergere dei suoi tratti salienti, carsicamente, in tutt'altra forma e con tutt'altro destino. Per questo, allo sguardo di Fulvio Papi, l'educazione è imperfetta in molti sensi: perché necessariamente incompiuta, perché empiricamente potenziale, perché intimamente inespressa. Sempre. Anzi: proprio grazie alla sua imperfezione, l'educazione individua i propri oggetti in ciò che la radica in una contingenza storico-culturale ben precisa. Ed è dall'analisi di quegli epifenomeni che, con andamento paziente e con puntualità razionale, Papi lascia affiorare, di argomento in argomento, i damna a cui l'educazione è sottoposta dalla surmodernità: dalla precarizzazione del sapere al consumo del mondo, dai rapporti tra economia e vita ai significati dell'identità. Attraversando il testo, non solo ci si accorge di ciò che è andato davvero smarrendosi, ma si rischiara anche l'immagine di ciò che invece conserva la sua validità: la consapevolezza filosofica come possibilità di conquistare uno sguardo inedito, una prospettiva impensata, un'attitudine indagatrice. E quella pedagogica "convinzione di se stessi" in grado sia di sopportare il presente sia di fare il futuro.