In seguito a un incidente, Johnson vive inchiodato a un letto, impossibilitato a comunicare col mondo e soggetto a immobilità, in stato vegetativo permanente: non può compiere azioni legate all'esistenza ordinaria e nello stato in cui si trova non può far nulla, salvo pensare. Le sue parole si susseguono in un soliloquio e nessuno può udirle, mentre i suoi ricordi si intrecciano incessantemente con quanto percepisce nella realtà. Egli chiederebbe, se potesse farlo, di essere liberato dalla condizione in cui è imprigionato. Nei suoi ragionamenti nulla è banale, in lui si agitano ancora sentimenti: ira e amore, speranza e rassegnazione, arte. A volte il suo pensare è poesia. Il suo vissuto emerge di continuo, come la sua voglia di giustizia, la nostalgia per la vita di un tempo - forse non abbastanza apprezzata - e pure il desiderio del rispetto della sua volontà, pur se espressa in modo non formale. Con lui e attorno a lui agiscono vari personaggi, il personale ospedaliero e i parenti, che vivono un conflitto riguardo l'interruzione dell'alimentazione e delle cure, l'accanimento terapeutico e le norme sul fine vita.