L'"Autunno del Medioevo" di Johan Huizinga ha valicato barriere linguistiche, culturali, sociali, mediali, riuscendo ad acquisire uno status di classico "globale" in genere precluso alla storiografia. Un'opera tanto eccentrica, tanto stupefacente, tanto criticata sin dal suo primo apparire, quanto amata e citata. Di tale successo sono un buon indicatore le traduzioni, e ritraduzioni, del saggio dalla sua pubblicazione in neerlandese ("Herfsttij der Middeleeuwen", 1919) a oggi. Alle prime s'interessò Huizinga stesso. Specialmente in anni recenti si può notare un momento favorevole alle ritraduzioni, intensificatesi da quando sono scaduti i diritti d'autore. Pur con notevoli differenze, in generale si nota la tendenza a legittimare queste operazioni con la necessità di un nuovo e più consapevole confronto con il testo originale - di per sé non immobile, in quanto rivisto dall'autore - e con le sfide estetiche che propone. Particolare è il caso dell'Italia, in cui continuano a convivere sul mercato diverse traduzioni: la prima pubblicata da Sansoni nel 1940, dovuta all'orientalista olandese Bernardo (Bernardus) Jasink e in parte censurata da Delio Cantimori, la seconda a opera di Franco Paris (Newton Company, 1992), rivista per Feltrinelli nel 2020. Nella versione di Paris si apprezzano la finezza della resa della prosa artistica di Huizinga, spesso sinestetica nel fondere sensazioni relative a differenti campi percettivi, e la sensibilità verso il ritmo della prosa. La presente raccolta di saggi prende le mosse dagli interessi linguistici del primo Huizinga, di cui si trova traccia anche in alcune scelte lessicali dell'"Autunno", per arrivare agli anni Trenta, quando lo storico assunse una postura di intellettuale pubblico. Ne "La crisi della civiltà" (in originale: "In de schaduwen van morgen", "Nelle ombre del domani"), Huizinga proponeva infatti un'amara disamina della crisi in cui un mondo "ossessionato", esasperato dai nazionalismi, stava precipitando. In Italia non mancarono le voci critiche del pamphlet, destinato a divenire un classico nel Dopoguerra. Anche in Olanda lo spettro delle reazioni fu ampio. Il poeta Martinus Nijhoff si sentì chiamato a rispondere con un atto creativo, suscitato dal titolo del libro: il ciclo di sonetti "Prima che faccia luce" ("Voor dag en dauw"), qui presentato in traduzione italiana.