In "Ipotesi di felicità" la concretezza di una visione disincantata dell'umano esserci quotidiano viene espressa nell'eleganza raffinata di una scrittura insieme sciolta, comunicativa, vivace e capace di passare dal verso alla materica densità di brevi componimenti in prosa. In questo libro si osserva anche l'emergere di una consapevolezza dell'essere poeta del poeta stesso espressa nella pagina, nel movimento interno al testo, dove l'autore viene a porsi come una sorta di sottile spia del proprio gesto poetico, ma senza alcun cedimento di sapore metaletterario. Pellegatta disegna la sua visione del mondo ben consapevole del felice debito con i maestri, siano essi gli amati artisti o altri modelli e riferimenti colti, da Kafka al Max Aub. Notevole è poi il senso esplicito di Pellegatta per l'insieme architettonico del libro, concepito come vero e proprio organismo, in linea con i maggiori esiti della poesia novecentesca e contemporanea. Nel fitto gioco di rimandi interni che "Ipotesi di felicità" offre nella sua tessitura, sono sicuramente importanti i passaggi in prosa, come nell'esemplare capitolo del bestiario, in una raffinata e sottilmente ironica capacità che esibisce: quella di assimilare la natura di queste figurine animali a quella degli umani nei loro toni e comportamenti.