Alessandro Anselmi (1934-2013), maestro dell'architettura del secondo '900 italiano, è stato un astuto inventore di forme, capace di trasformare i segni stratificati della storia in nuove configurazioni formali. Come molti progettisti impegnati culturalmente nella pubblicistica e nell'attività accademica, Anselmi affianca la scrittura alla professione. Meno noti rispetto agli esiti progettuali, i suoi testi non risultano inferiori per numero ai progetti; più di cinquanta scritti dopo il distacco dal Gruppo Romano Architetti Urbanisti (GRAU). Se fino ad ora la critica si è occupata esclusivamente dell'Anselmi architetto, rimane quasi inesplorata l'altra componente dell'opera: la scrittura. Come i progetti disegnati anche i testi anselmiani sono pure intuizioni, annotazioni sparse che, direttamente o indirettamente, fanno capo alla questione della qualità figurativa dell'architettura. L'indagine qui proposta consiste nel tentativo di ordinare alcune intuizioni scritte attorno al problema della forma architettonica, utilizzando queste come apparato per rileggere alcuni degli esiti progettuali. L'operazione di confronto tra gli scritti e l'architettura si configura quindi come una selezione di testi "parafrasati" e progetti "ridisegnati" dell'opera di Anselmi post GRAU.