L'art. 27 della nostra Costituzione: "La pena deve tendere alla rieducazione". Può risuonare come frase velleitaria e ingenua alle orecchie di chi pensa che la cosa sia logicamente impossibile, un ossimoro insomma: la mancanza di libertà non può andar d'accordo con la rieducazione, ma può solo favorire altre conoscenze nel campo della devianza e un inasprimento della rabbia antisociale di alcuni. Noi, in un famoso "fare", in un progetto che ebbe risonanza europea, non negavamo questo stato di cose, ma eravamo anche convinti che nella contraddizione si potesse vivere. È vero che la detenzione è anche scuola di devianza, ma dipende, tantissimo, da che cosa si fa, da cosa fa l'educatore, l'adulto. Nei molti esempi portati in questo libro si mostra il tentativo di allora di mostrare a quei ragazzi che può essere svegliata in loro la consapevolezza di essere capaci di scelte e quindi responsabili delle loro azioni. Si trattava di un importante passaggio teso a demolire gli alibi giustificatori, tipici delle argomentazioni che molti ragazzi portavano a chi li giudicava e soprattutto a loro stessi, alimentando così la loro tendenza a continuare a delinquere. In alcuni casi ci si riusciva e si vedeva il cambiamento, in altri la consapevolezza maturava nel tempo e forse noi non avremmo mai visto i frutti del nostro lavoro. Come accade agli insegnanti, si mettevano semi, i futuri frutti, immaginati e sognati, erano la speranza che ci dava forza.