L'INDUSTRIA DELLA POLVERE
+ OMAGGIO
Carlo Vigni
A cura di Carlo Nepi e Francesca Sani
Testi di Giovanna Calvenzi e Carlo Nepi
Conosciuta tradizionalmente come ‘La Torre dei pomodori’ di Isola d’Arbia, l’ex impianto Idit (Industria di Disidratazione Isola Tressa) rappresenta a tutti gli effetti un esempio di archeologia industriale, ma se questa definizione non trova ostacoli burocratici ed estetici in altre realtà italiane, per ‘l’ecomostro della Val d’Arbia’ i riconoscimenti sono contrastanti. Alle porte della Val d’Orcia, Patrimonio Unesco dell’Umanità e inserito all’interno di un paesaggio simbolo della Toscana nel mondo, il silos di ferro, vetro e cemento, alto più di settanta metri, svetta al centro della Via Francigena e si lascia osservare da qualsiasi punto panoramico a sud di Siena. Rappresentazione di un grande sogno di ripresa economica, la Torre Idit, ad oggi fa parte dell’immaginario collettivo di un’Italia in ripresa, pronta a investire e con una lungimiranza tale da sfidare, sacrificando la più radicata e secolare cultura contadina della campagna senese, anche coloro che non vedevano di buon occhio uno sviluppo industriale in un territorio così lontano dalla grande imprenditoria del nord Italia.
Oggi, dopo cinquantacinque anni, la struttura industriale fa parte del patrimonio paesaggistico della Toscana del sud, ma molte sono le perplessità sulla necessità di conservazione e manutenzione di uno scheletro architettonico in stato di abbandono e degrado. Le opere fotografiche di Carlo Vigni si pongono lo scopo di riaprire un dibattito sul suo destino.
«Non un viaggio di scoperta ma una sorta di dialogo con il tempo e con la memoria, di verifica dei suoi ricordi a confronto con le degenerazioni inevitabili che il passare degli anni ha imposto. Registra il disfacimento degli interni, l’accumularsi dei detriti, l’infiltrarsi degli alberi, l’infittirsi delle presenze vegetali. Per il suo lavoro di testimonianza e di indagine sceglie una distanza equa e un linguaggio documentario che indaga e registra in modo fedele. Sente, forse, l’influenza dello sguardo della Neue Sachlichkheit, di quella “nuova oggettività” che dopo la Prima guerra mondiale aveva tributato una sorta di ammirata attenzione alle macchine, al lavoro, ai luoghi dell’industria.
Guarda quasi con affetto questa incongrua presenza sul territorio senese, ne rispetta le linee e i volumi, fa dialogare gli interni con il paesaggio che circonda le persistenze industriali.» — Giovanna Calvenzi