Indro Montanelli, grande giornalista italiano del Novecento, saggista e commediografo di successo, fu prima di tutto un uomo. Se grande, lo giudicherà la Storia. E come tutti gli uomini commise errori e sbagliò scelte, ma sempre nel rispetto dei propri principi e dei propri valori: l'onestà e la correttezza innanzitutto. Fosse stato, Montanelli, di pasta diversa, una pasta intrisa di quell'opportunismo e trasformismo così diffuso, quasi genetico, nello strato erudito e politico della società italiana, forse avrebbe avuto ben altri onori e riconoscimenti. Li ebbe, ma in Italia la gran parte di essi si dimostrarono falsi e non certo di sinistra. Lui ne fu consapevole e gli pesò constatare l'ipocrisia e l'ambiguità della borghesia italiana, sempre pronta a salire sul carro del vincitore. Montanelli non sopportava, diciamo pure che detestava, l'uso immancabile dell'enfasi e della retorica - fascista o antifascista che fosse - con cui la società italiana usava accentuare o sminuire ogni vicenda a seconda del proprio tornaconto. Una società che ha già fatto di lui un dimenticato. Ma non per quella stretta minoranza che ancora in lui si riconosce.