Nitido e scritto a macchina, il biglietto in busta sigillata infilato sotto la porta confermava l'appuntamento. Arundhati Roy aspettava questa notizia da mesi, era pronta: doveva farsi trovare al tempio di Ma Danteshwari nell'orario e nel giorno stabiliti, con la macchina fotografica, il tika e una noce di cocco. In questo modo il pericoloso ribelle adivasi che avrebbe incontrato, a sua volta provvisto di cappellino, rivista hindi "Outlook" e banane, avrebbe potuto riconoscerla. Ad accoglierla, però, c'era un ragazzino dall'aria tutt'altro che minacciosa, e per giunta senza giornale né banane, veloce spuntino consumato per ingannare l'attesa. Molto poco professionale per chi costituiva "la più grande minaccia per la sicurezza interna" dell'India, come sostenuto senza mezzi termini dal primo ministro Chidambaram in persona. Comincia così questa coraggiosa e sorprendente ricognizione attraverso un'India sconosciuta, il cui orizzonte fisico ed economico negli ultimi decenni è stato completamente ridisegnato dalle multinazionali. Con la connivenza del governo, le grandi aziende si sono impadronite delle terre, delle foreste, delle vite delle popolazioni locali in maniera del tutto illegittima e anticostituzionale. Ma i poveri di questi villaggi hanno deciso di fare fronte comune e di unirsi alla ribellione maoista per guidare la più grande democrazia del mondo verso un futuro alternativo al capitalismo selvaggio e all'avidità dilagante.