Fino al periodo della Grande Guerra il Polesine era stato caratterizzato dal predominio quasi incontrastato degli agrari, all'interno di un territorio prettamente rurale, con una struttura socio-economica fondata sulla presenza di un vasto bracciantato. Nel corso del conflitto mondiale il mondo contadino rimarrà perlopiù neutralista e nelle campagne ci si rassegnerà ben presto alla guerra, senza riuscire a creare le basi per una vera opposizione di massa. I sacrifici sopportati dai combattenti al fronte, e più in generale dall'intera popolazione nelle retrovie, saranno all'origine delle inquietudini e delle aspirazioni che segnano il dopoguerra. I contadini polesani, diventati in gran parte socialisti, chiedono radicali cambiamenti, mentre l'Agraria pensa di poter continuare a esercitare il proprio dominio come nel passato. In mezzo si colloca un ceto medio che teme il diffondersi della sovversione "rossa". In questo scenario, la società italiana nel suo complesso sembra incapace di promuovere soluzioni politiche all'altezza dei tempi, lasciando così campo aperto prima alle illusioni e ai timori della minaccia rivoluzionaria, poi al dilagare del fascismo e al colpo di Stato.