Per migliaia di anni gli insediamenti sono stati misurati dai passi; con il "passus" i Romani hanno dimensionato le città e colonizzato il territorio. Questo rapporto, che legava gli abitanti al suolo e il sistema urbano al camminare, si è interrotto nel XX secolo, quando l'espansione della città è dipesa sempre più da infrastrutture stradali fatte per le auto e il camminare è stato represso, con conseguenze profonde sulla qualità urbana. Lo spazio ordinario dei pedoni va riscoperto e riproposto con decisione nelle politiche di rigenerazione urbana, e la questione ambientale va colta nel suo aspetto più oscuro, quello degli scarti e dei rifiuti: se la città della prima modernità esprimeva un progetto, se proiettava in avanti il suo presente, di cui i rifiuti costituivano una componente significativa, la città contemporanea occulta e rimuove i suoi scarti per non vederli; li getta all'indietro piuttosto che in avanti. E questa mancanza di futuro a connotare nel profondo la città del tardo capitalismo; e i rifiuti con la loro oscura immanenza lo testimoniano ovunque. Sia i percorsi pedonali che le filiere di gestione dei rifiuti sono intesi come reti, come infrastrutture ambientali che contribuiscono all'equilibrio e alla qualità dell'ambiente. Tornare alla nozione di rete ci permette di interpretare e intervenire sulla complessa realtà dei territori e delle città.