A quattordici anni, seduto su un cuscino, davanti a un minuscolo sarcofago (il «tutankamino») col dito di suo padre dentro, Anteo Aldobrandi ha cominciato a levitare. Da allora non ha mai cessato di sperimentare questa misteriosa forza cosmica che lo tira su, anche solo di poco, perché l'importante non è quanto uno riesca a sollevarsi da terra, ma riuscire a staccarsi e mantenere una propria stabilità. Finché, ormai quarantenne, un postino gli consegna una busta verde pastello con dentro una denuncia. Da quel momento la realtà lo risucchia verso il basso, rendendo vano ogni tentativo di levitazione. Perché il levitare è un'attività solitaria, che richiede una certa tranquillità, contro la quale invece congiurano le buste verdi pastello che continua a recapitargli il postino (per giunta impiccione), le convocazioni dall'avvocato, il cane da badare, l'assurdità delle accuse. Fino al processo penale davanti a un giudice. Un incubo che fa un po' ridere, come a volte sembra essere la vita.