"Per me ormai Roma è questa, non quella del Pantheon o di piazza Euclide; non i monumenti di gesso che si ammirano dal Gianicolo, né il giro di cupole e campanili che disegnano i gabbiani dalla Terrazza Olivetti. La Roma che per lui era straniera, da volerci quasi il visto per entrarci, è ormai straniera anche per me: non mi restano che le borgate, ma le borgate senz'anima perché l'anima delle borgate era lui. Per gli altri sono "il professore", detto con stima e ironia - il "buana" bianco che non conosce le usanze, il pollo da spennare, il gay attivo che comunque si inchiappettava uno dei loro, la persona di rispetto a cui chiedere il parere su un'irregolarità amministrativa o informazioni su un episodio storico: tra le identità che ho assunto nel tempo, mi pare una delle più accettabili. Il progetto meno opaco che riesco a formulare è trasferirmi all'estero, in una geografia immaginaria dei paesi in cui mi è stato concesso di far l'amore con Marcello (più o meno come in quei giochi dove si ricostruisce una figura congiungendo i punti con un tratto di penna); mezzo per caso mezzo per volontà, la parte di mondo che mi sarebbe consentita ha ai suoi vertici Chicago e Sharm el-Sheikh, Amsterdam e Abu Dhabi, Rio de Janeiro e Barcellona, Cuba e Berlino - il territorio in cui l'ho posseduto è libero dai mostri". Il romanzo più estroverso di Walter Siti.