La riforma universitaria del 2010, che in nome della meritocrazia ha preteso di rendere l'università più efficiente e trasparente, ha partorito sostanzialmente una maggiore e più autoritaria confusione amministrativa e, in spregio alla Costituzione, una minore libertà di ricerca scientifica e di insegnamento. Il ricercatore universitario è sempre più un cacciatore di fondi e sempre meno uno studioso, sempre più un compilatore di moduli e sempre meno un insegnante, sempre più un amministrativo e sempre meno un... ricercatore. La valutazione della ricerca diventa misurazione, sicché la qualità diventa quantità. Il tempo del ricercatore diventa, come quello dell'imprenditore, denaro, quello che lo Stato non ritiene saggio investire in ricerca e in istruzione. E il denaro diventa l'oggetto di continue e sempre più barocche gare fra ricercatori, gruppi, dipartimenti, atenei, sicché le virtù dell'integrità morale e della collaborazione cedono il posto a virtù 'atletiche', 'agonistiche'. Ma non andrebbe dimenticato che «agonismo» e «agonia» hanno l'etimo greco in comune...