"Certi uomini forti non sono soli nella solitudine, ma io che sono debole, sono solo quando non ho nessun amico," dice il protagonista de I miei amici, Victor Baton, un eroe dostoevskijano, eterno adolescente, mediocre, inetto, pusillanime, che cerca disperatamente l'amicizia e l'amore tentando di ispirare compassione e tenerezza. Le varie amicizie, di donne e di uomini, sulle quali viene scandito in capitoli il libro, sono storie di fallimenti. Baton, reso invalido dalla Grande guerra, nel suo vagabondare per una Parigi poetica e marginale, immagina rapporti bellissimi e grandi amicizie, disperatamente votato alla sconfitta e alla delusione. Un "eroe" moderno che soffre proprio perché si ostina, nonostante tutto, a sperare e illudersi. Lo stile personalissimo di Bove consiste nell'accanirsi ossessivamente nella descrizione delle piccole cose e dei gesti apparentemente insignificanti. Per questo lo ammirava Samuel Beckett che sosteneva: "Nessuno come lui ha il dono del dettaglio che colpisce". I miei amici (1924) è considerato il capolavoro di Bove. Tra coloro che lo hanno amato, vanno annoverati: Rilke, Gide, Saint-Exupéry, Topor e Handke, che lo ha tradotto in tedesco, e persino Wim Wenders che, in un suo cortometraggio su New York, passeggiava con I miei amici in mano.