In questo libro troverete brevi racconti sinistri come referti anamnestici, satire leggere, memorabili aforismi, e soprattutto apologhi di sapore storico, filosofico o teologico, nei quali i "fatti" monumentali e individuali sono consegnati all'interpretazione di un critico beffardo che si finge onnisciente come un dio. S'inizia con una riscrittura del mito di Edipo, dove la Sfinge, esasperata dall'insipienza umana, suggerisce lei stessa la soluzione dell'enigma al figlio di Laio, per poi subito annunciargli il prezzo della sua entrata nella civiltà: ossia la condanna a separare coscienza, inconscio e realtà esterna in un teatro in cui "le parole di fuori [sono] diverse da quelle di dentro". Più avanti "Eva" ci spiegherà il Male come un'autosuggestione maschile, che lei è costretta a nutrire in eterno con altre puerili finzioni. Ma nel frattempo ci si sarà imbattuti in alcuni densi ritratti di coppia come "Recensione", che alla distanza culturale imposta dal linguaggio sciolgono invece uno splendido, ragionato inno: "una comunicazione vera si basa sull'interruzione", annota qui l'autore, perché "se è continua e rilucente, la parola non comunica altro che sé stessa", mentre "l'emozione (...) crea distorsioni, cavità, corpi solidi e sondabili".