Nel diritto penale, il falso valutativo costituisce una riconoscibile sottocategoria del falso ideologico e non è dunque limitato a talune, specifiche fattispecie. Infatti, se l'agente si discosta volontariamente e consapevolmente da criteri valutativi normativamente imposti o scientificamente indiscussi, quindi vincolanti, rende attestazioni volutamente erronee, e dunque false. E se, nel delitto colposo, il giudizio di rimproverabilità trova fondamento tanto nella ignoranza, quanto - in ipotesi di colpa specifica - nella violazione di norme giuridiche di condotta, non si vede per quale ragione l'ordinamento dovrebbe rimanere inerte quando tale discostamento sia dovuto, non a scarsa preparazione o superficialità, ma a una precisa intenzione di rendere un'attestazione non elaborata secondo indiscussi canoni delle leges artis o delle eventuali, vincolanti direttrici normative. Partendo da tali presupposti, si passano in rassegna numerose fattispecie incriminatrici nelle quali il falso valutativo può agevolmente essere individuato. La stessa attività giusdicente, nella (limitata) misura in cui essa deve conformarsi ad alcuni non controvertibili canoni ermeneutici, può essere predicata di falsità, pur nella consapevolezza che il confine tra libera interpretazione del giudicante e volontario stravolgimento metodologico dei criteri di conoscenza ed apprezzamento è tutt'altro che netto e, comunque, difficilmente riconoscibile.