“Metà delle persone sui marciapiedi pare sciogliersi lentamente a terra, incapace di reggersi sulle gambe. Chi fa battute su cose del genere la chiama “l’inclinazione di Kensington”. Io non lo faccio mai.”
Il quartiere di Kensington a Philadelphia è territorio di degrado e delinquenza, eroina e prostituzione. Metà dei negozi ha vetrine sbarrate, il resto è take away, tutto-a-un-dollaro, banchi dei pegni, mense dei poveri.
Per avere idea della desolazione, basta cercare su google le foto di Jeffrey Stockbridge, che ha raccontato l’inferno di Kensington attraverso i volti della sconfitta e della dannazione con immagini di straordinaria verità.
Osservare quelle fotografie vuol dire guardare la realtà con gli occhi di Michaela Fitzpatrick, la protagonista de I cieli di Philadelphia, che nel quartiere è nata, e adesso è agente di pattuglia. Ogni giorno lei a che fare con quel disfacimento umano, piccoli e grandi criminali, ragazze perse per una dose, con i corpi segnati dalla droga e dalla strada. C’è anche Kacey tra queste, la sorella minore di Mickey.
Lei da ragazzina era quella più carina delle due, quella che aveva successo in compagnia, socievole e amata; Mickey era invece la ragazzina solitaria, che bisogna trascinare alle feste, strappare ai libri e al silenzio. Ma le due sorelle dividevano il letto, e le confidenze notturne, e uno spazio nascosto nel pavimento dove infilare bigliettini e segreti. La loro sorellanza era un legame di cuori che battevano insieme.
“Mettimi la mano sulla schiena, diceva Kacey, e io obbedivo ripensando con tenerezza alla mano di mia madre sulla pelle. Forse cercavo di trasmetterle il senso del suo valore, di convincerla che ero il recipiente da cui si riversava l’amore di nostra madre per lei, di immunizzarla contro le cattiverie del mondo. In quella posizione, io con la mano sulla sua schiena, ci addormentavamo tutt’e due”
Poi da adulte la vita ha presentato loro carte diverse. E pattugliando le strade, Michaela cerca sempre il volto smagrito e arrossato di sua sorella, impotente di fronte alla sua resa, con il timore di trovarla in overdose in un vicolo.
E quando iniziano a essere rinvenuti cadaveri di ragazze assassinate, per Michaela non si tratta solo del suo lavoro: per lei è vitale proteggere sua sorella, che non si trova più, scomparsa nel buio delle case abbandonate di Philadelphia.
Inizia così a svolgere le sue indagini personali senza guardare in faccia nessuno, pestando i piedi, rischiando di mettere in pericolo la sua stessa vita faticosamente normale, di mamma sola con un bimbo piccolo, gli orari da far coincidere con una babysitter, le cose di tutti i giorni.
Alternando il passato “allora”, con il presente “adesso”, Liz Moore ricolloca nel tempo la storia delle due sorelle e dei loro destini, che sono meno lineari di quello che appare, e riservano piccole scoperte e grandi colpi di scena.
È una storia complessa, quella de I cieli di Philadelphia, e Mickey non è solo un agente di polizia alle prese con il crimine: il suo è un racconto di amore e protezione, di rapporti tra figli e genitori, di senso dell’onore e di responsabilità verso la propria famiglia e il proprio sangue. Questo libro è prima di tutto una storia umana che porta alla protagonista tante diverse sfumature, un senso costante di inadeguatezza che rende il suo animo fragile e terribilmente vero, sempre in bilico tra il coraggio e la prostrazione, la paura e la dignità.
Se non rischiasse di essere un clichè, si potrebbe aggiungere che questo è un romanzo di donne, che pur essendo spesso difficili e problematiche sono personaggi forti e di sostanza, dove gli uomini della storia incarnano tutte le debolezze di un mondo sporco e tossico, non solo per la droga.
Dopo il successo de Il peso, Liz Moore conferma il suo grande talento di scrittura, ma soprattutto il suo sguardo indulgente verso la debolezza umana e la minaccia delle scelte sbagliate, pericolosa come quella della rassegnazione, e lo fa con grande efficacia e sensibilità.
“Cercavo in tutti i modi di ignorare il rumore di fondo che accompagnava le mie giornate, il rintocco di una campana simile a un avvertimento. Non le davo retta. Volevo che tutto restasse com’era. Avevo più paura della verità che delle bugie”.
Recensione di Francesca Cingoli