1910: IX edizione della Biennale di Venezia: Gustav Klimt è presente con una personale di 22 dipinti tra cui la celebre Giuditta II (Salomé) carica di conturbante erotismo. Nino Barbantini, giovanissimo direttore della Galleria d'Arte Moderna di Ca' Pesaro, da poco istituita, rimane folgorato e sedotto da questa figura elegante, misteriosa e provocante. Sull'onda dell'emozione egli pubblica su un giornale (il glorioso milanese "La Perseveranza") una recensione alla mostra che è uno dei testi più originali e più ricchi sull'arte del grande viennese. Barbatini afferma che in Italia, intorno al nome Klimt, si sta vivendo un "momento di battaglia acceso e non senza asprezza", e tuttavia, nella sua veemente polemica, egli anticipa e propone strumenti critici e linee di lettura che saranno riproposti solo molto anni più tardi, ivi compreso il prezioso ricchissimo scritto di Jean Clair del 1988 che accosta e compara emblematicamente Klimt al Picasso delle Demoiselles d'Avignon. Del breve saggio dimenticato di Barbantini parte la inedita ricostruzione di un ambiente culturale e della risonanza che vi ebbe lo "spitio klimtiano" per forme, gusto e scelte d'arte e di vita. Fino a un'enigmatica "apparente" tarda sconfessione, scritta dallo stesso Barbantini, della sua precoce interpretazione del 1910: ma si tratta davvero di una sconfessione?