«Poeta intensamente sperimentale, Hopkins conia parole, le infila nel ritmo "a salti", il running rhythm, o sprung rhythm, nel redeeming power della parola, come egli stesso lascia scritto. Si avvale anche del comune ten-syllable o five-foot verse, rhymed o blank, versi rimati o sciolti. Come in Shakespeare, come in Milton, come in Donne, così in Hopkins domina la pietrosa parola sassone, Saxon words come first, parola-oggetto, nel senso della poesia "metafisica" inglese della quale Hopkins sfrutta tutte le possibilità, flettendola fino allo spasimo. Poeta arduo, pulsionale, oratoriale, quaresimale, sincretista, sacro e profano, Hopkins, sacerdote, predicatore, docente a Dublino, arditamente avanza il concetto di individually-distinctive form, "forma individuante", sul tema di Duns Scotus, per cui poté coniare il termine inscape, "paesaggio interiore", che gli ispirò instress, "energia psichica", saturazione dei sensi, delle cose che in noi accadono, noi accadiamo, nel processo di individuazione. Non si tratta di personalizzazione, ma di individuazione: "ipseità" in inglese corrisponde, su suggerimento dell'Autore, a itness, thisness.» (Claudia Azzola)