Scopo di "Giochi ringhistici" è dimostrare che il professional wrestling è il gioco par excellence in quanto costruito su delle "storie" che non sono né completamente vere, né completamente finte. In esse si trova, piuttosto, proprio una compenetrazione di realtà e finzione, verità e menzogna, consapevolezza e inconsapevolezza, predeterminazione e caso. I contendenti degli incontri, nonché i protagonisti delle storie, sono i lottatori da spettacolo che, recitando un copione come in una sorta di fiction televisiva, interpretano dei ruoli precisi. Per conseguire il suo obiettivo, l'autore consulta i saggi di alcuni tra i più autorevoli semiologi, sociologi, linguisti, ludologi e filosofi del Novecento che hanno analizzato la natura del gesto nel gioco, specie quando questo si trova al limite tra realtà e finzione, serietà e scherzo, agonismo e violenza, e del suo riferimento, capace di spaziare dalla condivisione più totale ad una semplicemente parziale e, dunque, quando la lettura del gesto va da una completa intelligibilità alla più spiazzante ambiguità.