l libro, partendo dalle opere più significative del primo periodo di Gentile da Fabriano, come la pala d'altare di Berlino e il polittico di Valleromita oggi a Brera, suggerisce nuove ipotesi intorno alla sua formazione nell'ambiente lombardo alla fine del '300, in particolare soffermandosi sul suo rapporto con Gian Galeazzo Visconti alla corte di Pavia. Gentile da Fabriano può essere considerato il protagonista del naturalismo lombardo: la sua pittura è un'accurata analisi della superficie delle cose, scoperta nelle sue valenze più seducenti, come la varietà della vegetazione o la morbidezza della luce.
Partendo dalla peculiare vicenda biografica dell'artista, che dalle Marche si trovò ad attraversare tutta l'Italia, l'analisi approfondisce le tappe del suo cammino, nei vari ambienti dove giocò sempre un ruolo decisivo anche se non sempre compreso immediatamente sino in fondo. È il caso in particolare del Veneto, dove il suo influsso si rintraccia in Pisanello e Jacopo Bellini; di Brescia, dove la sua eredità fu raccolta dal Foppa; di diversi centri marchigiani e umbri, dove numerosi maestri minori proseguirono il suo lavoro.
Secondo Bartolomeo Facio, umanista di spicco alla corte di Napoli a metà del '400, Gentile da Fabriano fu il più grande pittore dell'epoca insieme a Pisanello, paragonabile a Van Eyck o Van der Weyden.