Con l'invasione dell'Etiopia nel 1935-1936, il progetto autarchico fascista di trasformare la nuova preda coloniale in un Impero del Cibo entrò nella fase operativa. Mussolini e i suoi esperti politici, agronomi e genetisti puntavano al trasferimento dall'Italia in Africa Orientale Italiana (AOI) di masse di coloni, a trasportarvi le più moderne tecnologie agroalimentari, a estrarre le ricchezze di una terra fertile e scarsamente coltivata, e a fornire alla madrepatria e ai mercati globali tanto grani ricchi di calorie quanto prodotti "esotici" quali le banane della Somalia e il pregiato caffè abissino. La costruzione di un'ambiziosa, capillare rete stradale fallì nell'obiettivo di trasportare in Etiopia milioni di contadini italiani e di trasferire fuori da essa le copiose merci alimentari previste dal piano fascista; tuttavia servì a recapitare tonnellate di cibo importato dall'Italia ai coloni delle città africane e degli avamposti militari dove si erano concentrati. L'attacco al sistema alimentare coloniale italiano diventò uno degli obbiettivi strategici della Resistenza etiope. Per tutta la durata dell'occupazione il razzismo istituzionalizzato fascista, che metteva fuori legge le relazioni di tipo domestico-coniugale tra italiani e etiopi e separava per colore gli spazi pubblici come i caffè e i ristoranti, limitò gli scambi alimentari e le ibridazioni culinarie ai margini degli spazi coloniali e alle intersezioni delle gabbie create dalla segregazione razziale. Tuttavia, il cibo italo-etiopico dell'Impero viaggiò moltissimo nell'immaginario, diventando un tema ricorrente nella pubblicità e in molti altri media - dai ricettari, ai film, ai documentari, alle guide turistiche - e facendosi strumento privilegiato della rappresentazione di corpi e paesaggi africani.