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zanchetta alberto - frenologia della vanitas. storia del teschio nelle arti visive

FRENOLOGIA DELLA VANITAS. STORIA DEL TESCHIO NELLE ARTI VISIVE




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Dettagli

Genere:Libro
Lingua: Italiano
Editore:

Johan & Levi

Pubblicazione: 06/2011





Trama

La morte è il topos più frequentato dall'uomo, un turbamento che dalla notte dei tempi ne contrassegna l'immaginario e le opere. Ogni epoca abbonda di simboli legati all'idea della transitorietà, ma fra tutti ne spicca uno: il teschio, simulacro spesso "pensoso" che ci ammonisce sulla vanità di ogni cosa terrena e ci costringe a riflettere sui fini ultimi dell'esistenza. Emblema della vanitas, il teschio ricorre nelle raffigurazioni medievali a suggello di corpi imputriditi che turbavano gli incauti viandanti. Emancipatasi dalla carne e ridotta a "corpo secco", la optima pars dello scheletro si avvia, già in pieno Rinascimento, verso il suo apogeo seicentesco. In seguito l'effigie scheletrica conosce alterne fortune. Nel Settecento perde gran parte dell'afflato macabro a vantaggio di rifioriture dei sottogeneri connessi al memento mori, senza esaurire, peraltro, la sua carica dirompente. E se nell'Ottocento conosce una fiacca ripresa, è nel corso del Novecento che riacquista buona parte del suo magistero. La sua esasperata popolarità corrisponde però al crinale del nuovo millennio, quando teschi e scheletri tornano a signoreggiare fra le arti visive. Un vertiginoso incremento, quantitativo più che qualitativo, a cui non corrisponde automaticamente una rinnovata vitalità. Sembra infatti che l'arte si sia a tal punto assuefatta all'effigie del teschio da esserne quasi anestetizzata.




Note Libraio

Il volume analizza come l’effige del teschio, simbolo massimo della caducità di tutte le cose terrene e del tempo che corrompe la bellezza, abbia modificato la propria simbologia sociale nell’avvicendarsi dei secoli, passando da puro simbolo funebre ad apologia della miseria umana, fino a diventare un’immagine assai abusata dagli artisti della vita moderna. Quello che era stato un oggetto terrifico atto a richiamare l’idea della morte (“Memento mori”), ora non è più in grado di incutere paura e sconta la pena di una sovraesposizione che rischia di anestetizzarlo e banalizzarlo. Il saggio ripercorre la storia del teschio nell'arte dell’Occidente e dell’Oriente, dalla preistoria attraverso il Medioevo e dal Seicento fino ai primi anni del Terzo Millennio, con specifici approfondimenti sulla grande proliferazione del macabro nella cultura europea, su come lo spazio della vita e il tempo della morte convivano in città come Napoli e Palermo e sulla diversa concezione della morte in Messico e in Cina. Affrontando l’ampia casistica dei generi connessi alla Vanitas, la ricognizione prende in esame la pittura, la scultura, la fotografia, il video, così come i graffiti, i fumetti, le radiografie e gli enigmatici teschi di cristallo, con incursioni nella letteratura e nella sociologia. Nel tentativo di verificare le metamorfosi di senso e di forma subite dal teschio nel corso di un millennio, sono stati presi in esame più di cento artisti (tra cui Abramovic, Baechler, Barceló, Basquiat, Bertozzi&Casoni, Cézanne, Jake e Dinos Chapman, Cucchi, Dalí, De Dominicis, Dine, Dix, Dokoupil, Ensor, Fabre, Galliani, Gligorov, Guercino, Hirst, Holbein, Huang Yan, Kahlo, Klimt, Kollwitz, La Rocca, Longobardi, Lupertz, Lüthi, Mapplethorpe, Michals, Munch, O’Keefe, Orozco, Oursler, Picasso, Quinn, Raynaud, Richter, Swallow, Yan Pei-Ming, Warhol, Witkin, Zhang Huan, etc.) e sono state analizzate altrettante opere, di particolare interesse nell'ambito dell'arte moderna e contemporanea.










Altre Informazioni

ISBN:

9788860100382

Condizione: Nuovo
Collana: JDI
Formato: Brossura
Pagine Arabe: 416


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