«Non vi ho mai confessato in che misura le stampe giapponesi mi abbiano ispirato. Non ho mai cancellato quella mia prima esperienza e mai lo farò. È stato per me il grande Vangelo della semplificazione, quello che porta all'eliminazione del superfluo». (Frank Lloyd Wright, 1954) Nella nuova veste grafica della storica collana Aeta - Architetti e architetture, la seconda edizione in italiano di "The Japanese Print. An Interpretation" (1912) di Frank Lloyd Wright, corredata da un'importante riflessione sul rapporto tra l'architetto e la cultura giapponese. Tra il 1905 e il 1922 Frank Lloyd Wright compì sette viaggi in Giappone, dove soggiornò a lungo. Divenne uno dei massimi conoscitori delle stampe giapponesi che collezionò avidamente. Come si osserva nelle xilografie erotiche di Hokusai o nei paesaggi di Hiroshige, lo «sfiorare che rimane infinitamente lontano da ogni toccare» è il segreto che Wright coglieva nelle stampe ukiyo-e, non diversamente dall'architettura giapponese «dimore della fantasia e dell'imperfetto». Come le stampe dei «maghi tranquilli» da lui ammirati, anche l'architettura tradizionale che tanto lo ispirò, per Wright era manifestazione «dell'incedere della grande dottrina della semplificazione, dell'eliminazione di tutto ciò che è insignificante», come si legge in Le stampe giapponesi .