«La filosofia aspira all'eternità», ha come fine «la verità»: è questo l'incipit del libro e di una possibile «filosofia per il presente». Della filosofia, d'altra parte, mutano nel tempo le forme, i modi, le circostanze, e questo fa sì che essa, declinandosi al plurale, perda la propria specificità adeguandosi alla contingenza e alle mode quando non disperdendosi nella molteplicità delle discipline e dei punti di vista. L'autore - in dialogo con Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty - si interroga su questa identità perduta e la ritrova nella funzione critica che la filosofia può avere come «punto di vista essenziale», «fenomenologico»: capace di «conoscere le cose sapendo che non le scopre, non le inventa o le struttura», ma connette «il suo esperire al senso di ciò che appare». Un senso della verità che non coincide con il suo possesso, ma è incessante attraversamento delle ambiguità, nel simbolo, e delle contraddizioni, nell'evidenza, e nel quale è custodita la stessa «sacralità del mondo».