Secondo alcuni grandi modelli teorici, l'agire politico sarebbe un'interazione tra individui razionali guidata da procedure condivise di comunicazione e decisione. La prassi osservabile però smentisce tale paradigma, forse ideato per un mondo possibile, ma certo con scarsi riscontri in quello esistente. La storia del Novecento e la politica contemporanea offrono infatti esempi eloquenti del peso che l'elemento a-razionale esercita sull'azione collettiva. Simboli e miti appartengono a questa dimensione, ne sono anzi la sostanza stessa, anche se nelle società democratiche la loro dinamica talvolta è meno appariscente che nelle liturgie totalitarie o nelle ritualità delle comunità tradizionali a dominante religiosa. Al mito, in particolare, va riconosciuta una insostituibile centralità: potenza mobilitante che opera attraverso simboli, è l'oggetto privilegiato di schiere di studiosi, tanto da diventare sostiene uno di loro - una sorta di specchio magico in cui ciascuno trova ciò che gli è più familiare, i linguisti un mondo di segni, gli psicologi il precipitato dell'inconscio, gli antropologi una narrazione atavica, i filosofi l'opposto del pensiero o la sua forma primitiva. Se una simile proiettività ha alimentato una letteratura sconfinata, poco di rilevante è stato detto finora sul mito politico in sé. Chiara Bottici lo ripercorre dall'antichità a oggi e ne elabora una teoria non sussidiaria di altre discipline, oltrepassando la vecchia opposizione tra bando illuministico e riabilitazione romantica.