Nel presente volume si pubblicano, per la prima volta, dopo novant'anni, gli atti del VI Congresso SFI di filosofia di Milano del 1926, unitamente alla rassegna stampa degli articoli giornalistici apparsi allora. In genere i convegni passano, ma gli atti restano. In questo caso è successo esattamente l'inverso, giacché gli atti non furono mai pubblicati, ma la memoria di questo simposio è rimasta indelebile nella storia civile e culturale (italiana ed internazionale). Il simposio, avviatosi sotto l'occhiuto controllo della polizia fascista, fu infatti improvvisamente chiuso d'autorità, per un intervento diretto del potere politico, che non tollerava la sua natura antifascista. Grazie a Piero Martinetti, uno dei principali filosofi d'inizio Novecento ed anche una delle più forti personalità morali dell'antifascismo del Nord d'Italia, il simposio fu organizzato in modo affatto libero e indipendente. Martinetti invitò così Adelchi Baratono, Giuseppe Antonio Borgese, Ernesto Buonaiuti, Benedetto Croce, Francesco De Sarlo, Giuseppe Tarozzi, Giuseppe Rensi e l'allora presidente della SFI Bernardino Varisco (l'unico schierato col fascismo). In questo spirito il Congresso ha rappresentato una sfida aperta al regime fascista e al diffuso clerico-fascismo, nonché un momento di pubblica, clamorosa e civile protesta contro la dittatura che stava allora fascistizzando l'Italia, giovandosi anche della cortese intercessione di eloquenti legni fascisti (la cd. «filosofia del manganello») e dell'acquiescenza, corresponsabile, dei più. «La dimostrazioncella antifascista del Congresso - scrisse allora Gentile - viene da uomini che nella presente vita italiana non hanno nessunissima importanza: non sanno nemmeno che cosa il Fascismo voglia, e in che consista. Guardano a questo o a quel fascista, e fanno piccole questioni di persone. Miserie». Questo giudizio (fascista) era, tuttavia, profondamente sbagliato. Non solo perché grazie a questo simposio la "scuola di Milano" ha scritto una delle sue pagine civili più importanti e significative. Ma anche perché proprio da queste presunte "miserie" - per dirla con Ignazio Silone - «il seme sotto la neve» stava lentamente germogliando per mettere quelle radici il cui frutto migliore saranno la Resistenza e la guerra partigiana di Liberazione.