Un anziano ed un tempo celebre regista di teatro, cinema ed opera lirica - su cui qualche lettore «pettegolo» potrebbe ostinarsi a riconoscere un protagonista della scena novecentesca - si ritrova, senza saperlo né sospettarlo, a contatto diretto con le vittime indirette di un suo lontano sopruso, che ha del tutto rimosso e di cui non serba il menomo ricordo. Guido Davico Bonino ci propone, nelle tonalità sfumate di un inconsueto «giallo interiore», una dolente riflessione - come osserva Luca Lamberti nella sua nota critica - sul «tema della genialità e della creatività dell'artista, che potrebbe essere tradotta in questa domanda: «Doni così rari sono esclusivo privilegio del singolo o devono da costui essere condivisi con i "non privilegiati"?».