Seconda silloge poetica dell'autrice goriziana, che esce con un titolo emblematico per una ri-partenza, dopo il grave periodo storico (non ancora scampato), vero e proprio auspicio di rinascita attraverso la lirica e la cura, nella metafora di un giardino dell'anima, dove riappaiano i fiori e i frutti sperati (Roberto Marino Masini)."È un flusso interiore che sgorga da questa autrice e attraversa l'intera silloge [...] alla fine lei giunge a un punto fermo, per la sua sostanza soda, e trova in certa rarefazione la forza per ripartire... Fermo immagine... in essa risiede la possibilità di una sosta in cui è possibile osservare quell'oscillazione tra equilibrio e presa di distanza dalle sbarre della costrizione, anche e soprattutto quella interiore, per muoversi alla libertà che "i colori della primavera" spingono ad esplorare. Si tratta di una libertà di parole abitate dalla lirica, al suono dell'acqua carsica che, dopo essersi inabissata, riemerge in risorgive capaci di riflettere il cielo." (Patrizia Dughero)